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LA SOFFITTA DEI SOGNI

E

 

rano sempre appartenuti alla notte, emozionanti, stupefacenti, i migliori ritrovamenti di tappi della mia vita: regalo di persone più o meno a me conosciute, o rinvenimenti casuali nei posti più improbabili.

Pezzi unici, che non avevo mai visto prima, né avrei mai potuto immaginare esistessero, ed infatti, purtroppo, non erano reali! Se, al mattino, avessi potuto ritrovare anche solo un decimo di quelli che sognavo di notte, sarei sicuramente il collezionista più fornito ed invidiato.

Sinceramente non saprei dire oggi, dopo tanti anni, quali sogni abbiano accompagnato quella mia nottata, né mi affiora alla memoria alcuna delusione al risveglio, ma in ogni caso non c'era spazio per recriminazioni o rimpianti, perché il viaggio che mi attendeva era carico di aspettative: il tempo di passare a prendere mio fratello e la strada cominciò a scorrere sotto di noi, inconsapevole delle nostre speranze, proiettandoci verso la madre di tutte le avventure.

Avevo percorso quelle strade centinaia di volte, recandomi al lavoro, ma l'aspetto della campagna circostante mi appariva diverso, e gli stessi palazzoni che comprimevano gli orizzonti negli attraversamenti urbani sembravano oggi meno soffocanti del solito.

Il tempo del viaggio passò veloce, conversando su argomenti legati all'hobby che ci accomuna, quella passione che ha saputo tenere ancora più legati tre fratelli anche dopo che ognuno aveva scelto la propria strada nella vita.

Arrivati a destinazione suonammo al campanello di una casa che portava bene gli anni che sicuramente aveva, e venne ad aprirci un uomo alto e dall'aspetto fiero, con i capelli bianchi ed il volto segnato dalle rughe di chi ha vissuto gran parte degli avvenimenti riservati dalla storia al secolo appena concluso.

Ci parlò, con una vena di nostalgia, dei tempi in cui produceva ed imbottigliava bibite, e delle ragioni che hanno costretto alla chiusura la maggior parte delle ditte come la sua: appariva contento di poterci portare in soffitta, dove aveva ancora qualche tappo vecchio!

Due rampe di scale ci portarono ad un uscio malridotto, chiuso da un lucchetto vecchio quanto il fabbricato; mentre lo apriva ci spiegò che, ai tempi della seconda guerra, si usavano, per chiudere le bottiglie delle bevande prodotte, anche tappi di ditte diverse, cosicché in soffitta ne erano rimasti solo pochi dei suoi.

Una traballante scala in legno ci portò all'interno di un solaio polveroso e buio: attraverso un fitto intreccio di ragnatele si poteva scorgere l'espressione attonita dei ragni alla vista di esseri viventi che mai avevano attraversato quelle foreste di fili appiccicosi.

Percorremmo una decina di metri camminando piegati in due e superando ostacoli di ogni genere, ma alla fine, di colpo, mi dimenticai della mia schiena dolorante, quando l'uomo sollevò il coperchio di una enorme cassa di legno e ne illuminò con la torcia il contenuto: era piena fin quasi all'orlo di intonsi tappi a corona, carichi di polvere e di anni, che aspettavano solo qualcuno che ne apprezzasse l'immenso valore!

Attraverso la semioscurità io e Alberto ci scambiammo un'occhiata carica di incredulo stupore, ma, prima che lo sfavillìo delle nostre pupille potesse tradire il nostro entusiasmo, ci ricomponemmo, mostrando con moderazione il nostro interesse.

“Potete riempirne un paio di sacchetti”, concesse il genio della lampada, e noi ci tuffammo a capofitto in quel favoloso forziere, cercando di diversificare le scelte, per quel poco che ci era consentito dall'assenza di luce; riuscivamo solo vagamente a distinguere i disegni, ma eravamo comunque coscienti di essere di fronte ad un momento magico nella vita di un collezionista.

Alla fine, ringraziando di cuore, salutammo con un arrivederci che era tutto un programma, e quindi ebbe inizio il viaggio che riportava a casa noi ed il tesoro. La luce del giorno accompagnò le nostre urla di gioia e stupore che sottolineavano la visione dei tappi che, ad uno ad uno, Alberto estraeva dai sacchetti e sottoponeva alla mia bavosa approvazione, incurante del divieto del codice della strada "non parlare al conducente, ne' mostrargli tappi", e dentro di me trovavo ingiusto che fossi l'unico dei due ad avere la patente.

L'entusiasmo fu ancora maggiore quando, giunti a casa, rendemmo partecipe anche Massimo delle celestiali visioni, estraendo, come dal cilindro senza fine di un mago, gioielli mozzafiato a ripetizione.

Svastiche, fasci littori, scudi sabaudi comparivano su molti tappi, alcuni portavano i nomi enfatici degli slogan di Mussolini, altri, ancora più entusiasmanti, provenivano dalle colonie, o erano stati usati per rifornire i soldati in guerra: insomma, era come sfogliare le pagine di un libro di storia!

In seguito saremmo ritornati più volte a saccheggiare quel “Pozzo di S.Patrizio”, anche se l'istinto del commerciante aveva indotto l'anziano signore a chiederci in cambio un “compenso per il disturbo” ad ogni visita, proprio come la parcella di un professionista. Ma, in fondo, l'essere in tre comporta anche il vantaggio della ripartizione dei costi, cosicché, alla fine, il forziere fu praticamente svuotato, e nella nostra collezione iniziarono a far bella mostra di sé degli autentici capolavori.

Credo di poter far risalire ad allora la cessazione dei miei fatui ritrovamenti notturni, altre visioni popolano i luoghi in cui spaziano i miei sogni, ma mi piace pensare che questo è conseguenza del fatto che la realtà supera la fantasia….

Lorenzo


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